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Lo psicologo e il counselor: la Professione fa la differenza! PDF Stampa E-mail
Sabato 31 Agosto 2013 22:30

psicologiaSono apparsi sulla stampa, vari articoli in merito alla vicenda di un'infermiera che, dopo aver offerto un "supporto psicologico" in quanto formatasi anche come counsellor, si è vista vittima di atti di stalking da parte dell'assistito.


La vicenda, indubbiamente, muove reazioni di attenzione alla parola "stalking". Tuttavia non si può non esimersi da riflessioni maggiori e più profonde in merito all'eventuale "supporto psicologico" offerto da figure non psicologiche.

A tal proposito lo staff di Psicoeuropa ha intervistato due colleghe (Leila Rumiato e Simona Mreule) esperte in deontologia.

Quali sono le azioni che un Ordine deve fare quando ci sono queste vicende e quali riflessioni offre una vicenda così complessa ?

L'Ordine, in materia di tutela della professione, si vede quotidianamente impegnato in azioni importanti. In particolare, in merito agli articoli usciti, si deve attivare al fine di verificare se non sia necessario un intervento diretto.

Certamente l'Ordine dovrà avere cura di prender contatto con il Pubblico Ministero che si occupa del caso per comprendere se il professionista in questione abbia effettivamente fatto dei colloqui psicologici o se questi rientrano in colloqui di Counselling (in quanto, prima di qualsiasi azione, si rende necessario essere certi che sia stato commesso un abuso di professione).


Tuttavia, tali scritti offrono lo spazio per una riflessione importante sia per i colleghi psicologi sia per l'utenza tutta.
Forse in pochi sanno che il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani (in particolare una serie di articoli: art. 4, art. 22, art. 24, art. 26, art. 27 e art. 28), impone al professionista Psicologo / Psicologo Psicoterapeuta e all'Ordine stesso, di muoversi con molta cautela ed attenzione nei confronti degli utenti, tra cui vige una corretta informazione.


Diventa, perciò, importante fare alcuni chiarimenti a quanto emerso dall'articolo.
Appare quantomeno confusivo e fuorviante l'accostamento "counselling e supporto psicologico" in quanto, come anche sancito dalla giurisprudenza, se parliamo di sostegno psicologico, allora la materia riguarda lo psicologo e non certo il counsellor che, ricordiamo, pur essendo una figura con assoluta dignità, è e rimane pur sempre "consulente" e nulla ha a che vedere con la figura dello psicologo o dello psicoterapeuta. Se si considera solo la formazione delle due figure in questione, ai due professionisti ne vengono richieste una differente dall'altra.

Agli "psi-" si richiede una laurea, un esame di Stato per esser considerato a tutti gli effetti psicologo, una specializzazione di ulteriori quattro anni (riconosciuta dal MIUR) per essere psicoterapeuta ed una formazione continua; al counsellor non viene necessariamente riechiesto nè un titolo universitario nè una specializzazione ma è sufficiente effettuare la partecipazione ad un corso triennale presso Scuole di Specializzazione in Psicoterapia o presso Enti Formativi che rilasciano un attestato.

A questo proposito, differente è lo psicologo counsellor che deve sottostare al Codice Deontologico e deve iscriversi ad un Ordine a cui spetta il controllo del suo operato, ed un counsellor non psicologo in quanto, ad oggi, il counselling è una professione non organizzata, ovvero priva di una legge istitutiva e di un ordine professionale.


A seguito del varo da parte del parlamento della legge 14 gennaio 2013, n. 4, "in materia di professioni non organizzate" il counselling è stato inserito tra le professioni intellettuali, per esercitare le quali non è necessario seguire alcun iter specifico. La normativa lascia al singolo professionista la facoltà di qualificarsi professionalmente intraprendendo un percorso di certificazione professionale presso un'associazione professionale di categoria o attraverso la cosiddetta autoregolamentazione volontaria.


A tal proposito, vale la pena sottolineare, che la vicenda (per come riferita e letta negli articoli), riporta alcuni errori tecnici che il professionista in questione (infermiera/counsellor) avrebbe commesso e che uno psi- (-cologo, -coterapeuta), non avrebbe potuto e non dovrebbe commettere, pena incorrere in una segnalazione deontologica (cito "visite a domicilio", forse senza la condivisione e l'accordo con i servizi... "nello studio del marito"...).

Oltre a ciò, lo psicologo, nel suo percorso formativo, viene ben strutturato ed istruito, specie se psicoterapeuta, a prevenire, riconoscere o comunque affrontare con professionalità situazioni di "innamoramenti", transfert, etc.... processi che, se non vengono preventivamente ipotizzati, potrebbero, come dimostrato, creare grosse e spiacevoli difficoltà relazionali, come spesso accade in professioni che sono considerate "affini" o simili al lavoro psicologico, solo per il fatto che adottano, non con meno professionalità, l'ascolto e la parola, ma con finalità differenti all'interno di processi che mirano ad accompagnare il cliente/paziente in direzioni più "esterne e superficiali" (counsoller) o più intime e profonde (lo psicologo).

Infine, crediamo sia giusto che tutti, dall'Ordine a ciascun iscritto ad esso, promuova nel quotidiano la conoscenza che le professioni di psicologo e psicoterapeuta, oltre ad una formazione molto lunga e strutturata (cosa che non avviene per tutte le altre figure considerate da molti come "simili"), sono obbligati a garantire, a sè ed ai propri pazienti, un aggiornamento continuo (all'art. 5 del Codice Deontologico Italiano), e sono sottoponibili a commissione deontologica, che ha il compito specifico di valutare il comportamento del professionista (nel rispetto del ruolo, della professione, dell'adeguatezza dell'intervento e persino nel decoro!), con la possibilità di essere penalizzati fino alla radiazione dall'albo (che impedisce, di conseguenza, al professionista, di poter più svolgere la professione).

Detto ente di tutela della professione, ma soprattutto dell'utente/paziente/cliente, non esiste per le altre figure di cui abbiamo parlato.