Dieci spunti di “culture di base” per lo psicologo Stampa
Lunedì 13 Maggio 2013 22:14

di Paolo Fusari

davanti al pc

Presento un invito ad un confronto sul tema affascinante della formazione dello Psicologo, offrendo alcuni miei "spunti" dal punto di vista professionale.

Sono "10 spunti", emersi dalla mia pratica professionale e quotidiana come psicologo che interviene nell'area della psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

Li presento come riflessione e come stimolo per continuare un dibattito ma anche per offrire punti di condivisione per il nostro futuro professionale.

 

 


1. La cultura della "parola" e della "scrittura"
Uno degli strumenti privilegiati della professione dello Psicologo sono senza dubbio le "parole". Vale ricordare un bel testo che riflette bene il significato rilevante della parola, soprattutto nel setting psicoterapeutico.

G.Lai, nel suo "Le parole del primo colloquio", insegna ad "ascoltare le parole dell'interlocutore, così come sono, nella sequenza in cui si ordinano quando vengono pronunciate... ".

Ci sono poi interessanti studi sul linguaggio che evidenziano come il numero di parole che viene mediamente utilizzato dalle persone rispetto alla quantità disponibile è estremamente limitato (1.000 su 200.000). Poi, incredibilmente, gli studi rilevano che il numero di parole che descrivono sensazioni negative, e che generalmente si utilizzano, è circa il doppio di quelle con connotazioni positive. Sappiamo altresì bene che il linguaggio influenza il nostro sistema neurologico e quindi i nostri stati d'animo ed i comportamenti associati e che modificando le parole utilizzate (con sè stessi e con gli altri) trasformiamo automaticamente ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo.

E' possibile quindi attenuare le sensazioni negative ed amplificare quelle positive trasformando ed aiutando a trasformare il nostro ed altrui vocabolario: abbiamo a disposizione una tavolozza con miriadi di colori ma si dipingono spesso quadri poveri e cupi.
La professionalità degli Psicologi passa anche attraverso la buona "cultura della parola" e questo è uno dei primi strumenti sui quali ci si deve sempre rafforzare.

Le "parole" si possono ovviamente anche scrivere. Gli Psicologi devono saper scrivere relazioni, progetti, diagnosi, lettere, note, appunti, ecc.. E' importante scrivere bene, in modo appropriato, chiaro e rilevante. Le parole che scrivono gli Psicologi nella loro professione sono importanti e rilevanti, basti pensare solo alle relazioni peritali o a altre relazioni psicologiche.

Oggi assistiamo, da più parti, ad una contrattura delle parole scritte anche a causa/vantaggio della tecnologia comunicativa (mail, messaggi, ecc.). Ciò porta a perdere significativi "pezzi per strada", a comprimere, ad essere veloci, tempestivi, alle volte troppo impulsivi. Con le parole scritte non si può scherzare! Un vecchio detto popolare di buon senso riporta che "le parole pesano come macigni" ed i macigni pesano di più delle pietre!

Un buon Psicologo è anche un buon professionista nella "cultura della scrittura" e anche questo può essere uno degli strumenti sui quali ci si deve sempre rafforzare.

 

 


2. La cultura della "rendicontazione"
Il lavoro dello Psicologo è anche "narrativo". Narrare significa raccogliere e fissare un percorso, renderlo vivo per saperlo utilizzare e spiegare. Non possiamo permetterci di perdere la memoria dei fatti raccontati, delle sensazioni e delle emozioni espresse e manifestate dalle persone. Ecco allora che la cultura della "rendicontazione", ovvero saper relazionare, prevalentemente in forma scritta, ciò che è avvenuto prima e durante i nostri interventi professionali, diventa un importante processo per impostare il percorso futuro.

La rendicontazione, per lo Psicologo, viene richiesta sempre più spesso; è lo stesso cliente/paziente che ha bisogno di ricostruire il suo percorso e perciò necessita di una sintesi sui suoi progressi o sui suoi impedimenti.

Nelle strutture di servizio, le famiglie, i parenti, le persone chiedono di avere informazioni sui percorsi e sulle attività volte, negli interenti peritali infine la rendicontazione degli incontri, di ciò che è avvenuto, degli strumenti e delle tecniche utilizzate, sono rigorosamente richieste, oltreché indispensabili.

La rendicontazione è necessaria, ad esempio, dopo un colloquio, dopo una riunione, dopo un'incontro, al termine di un intervento formativo. Agli Psicologi che operano in ambito aziendale viene sempre richiesta, in itinere, una rendicontazione di ciò che è avvenuto e ciò diventa strumento di qualità e di eccellenza.
La professionalità dello Psicologo si vede anche dalla sua "cultura della rendicontazione". Anche questo è uno degli strumenti sui quali orientare la propria professionalità.


 


3. La cultura della "progettazione"
Il progetto è un processo cognitivo. Per gli Psicologi "progettare" è un compito indispensabile ed utile in quanto si tratta di "pensare avanti", di saper tradurre le idee in parole scritte, di pianificare, di prevedere

Si progetta ovunque, in tutti gli ambiti, dal contesto clinico e personale a quello aziendale per promuovere il cambiamento individuale e collettivo. Progettare significa saper "scrivere" e "prevedere" la multidisciplinarietà degli interventi, il lavoro di rete; richiede la formulazione di una ipotesi come presupposto iniziale, l'evidenza di una sperimentazione d'interventi per ottenere dei risultati e la formulazione del nuovo, "la nuova ipotesi o il nuovo presupposto", orientato alla trasformazione ed al cambiamento. .


In generale un buon progetto, nella sua stesura, deve prevedere alcuni indicatori di congruità e di efficacia. Innanzitutto una buona "Premessa" che sappia circoscrivere bene il contesto, il problema, l'intervento oggetto di progettazione per poi orientarsi verso gli Obiettivi (macro e micro) che si intendono raggiungere in forma concreta ed operativa (un buon suggerimento per la definizione degli obiettivi è sempre quello di porsi la domanda: "dove voglio arrivare?").

Gli obiettivi generali sono una dichiarazione di intenti e di desideri, che possono essere formulati anche in modo ampio e vago per esplicitare cosa si intende cambiare. Gli obiettivi specifici (micro) devono essere più operativi in quanto ci aiutano a procedere nelle fasi successive del progetto.

La definizione dei Destinatari ai quali si rivolge il progetto, l'indicazione di una precisa Metodologia, la previsione dei processi di Valutazione degli esiti, costituiscono poi fasi e passaggi essenziali per la predisposizione progettuale. Una particolare attenzione va riservata anche alle disponibilità strutturali ed economiche necessarie per la sperimentazione ed il raggiungimento degli obiettivi.

Gli Psicologi devono essere capaci di progettare, di pensare e scrivere i progetti per il percorso di cambiamento e di trasformazione, proprio e specifico della professionalità psicologica.
Riappropriarsi della "cultura della progettazione" è uno dei passaggi fondamentali per qualificare al meglio la propria professionalità.

 

 


4. La cultura della "valutazione"
Valutare significa "render conto" delle proprie attività, interventi ed azioni e misurare gli esiti e le risultanze del proprio lavoro. La valutazione è un percorso mediante il quale, sulla base di una rilevazione condotta con riferimento a dei criteri, esprimiamo un giudizio su un fatto e/o sul comportamento, ma anche sul nostro operato, con delle appropriate metodologie.

Possiamo individuare molteplici ragioni per le quali è indispensabile adottare sistemi di valutazione del nostro lavoro; in particolare adottare "una cultura della valutazione" contribuisce a soddisfare le esigenze di equità e di sicurezza del nostro lavoro; la sicurezza infatti deriva dal sapere come va il proprio lavoro, sapere i punti di forza ed i terreni di miglioramento.

Nel setting psicoterapeutico, nelle organizzazioni, nel gruppo, ogni contesto d'intervento richiede una valutazione in quanto, nel momento in cui si costituisce un rapporto di valutazione, si attua una relazione tra le persone, con una comunicazione costante che chiama in gioco entrambi i partecipanti.

Per un efficace avvio di un sistema di valutazione professionale risulta importante definire bene l'oggetto della valutazione delle nostre prestazioni, che sono rappresentate dal complesso di eventi e di azioni posti in essere dalle persone con le quali interveniamo e/o dai risultati conseguiti nell'ambito delle nostre responsabilità individuali e professionali.

Il "come" e "il cosa" valutare costituiscono poi alcune direttrici di base sulle quali impostare il nostro percorso di valutazione. Un elemento di distinzione professionale è anche quello di non aver timore di valutare e di auto valutarsi.
La "cultura della valutazione" contribuisce a migliorare la nostra professionalità.


 


5. La cultura dell' "imprenditorialità"
Il mercato ha tendenze alterne, alle volte è ricco altre è in discesa. Il mercato può essere "spietato", oggi hai un contratto con un cliente, domani quel cliente può non esserci più. Essere imprenditori di se stessi non è facile, ma affascinante, è faticoso ma poi ripaga.

Gli Psicologi devono sempre più orientarsi ad una "cultura dell'imprenditorialità" sapendo "fare marketing" in modo incisivo, etico ed efficace. Le competenze per l'imprenditorialità sono quelle di saper "guardare oltre" , di essere sempre "eccellenti", di saper cogliere "al volo" il nuovo che avanza non facendosi trovare impreparati. Molte professioni, diverse dalla nostra, si sono strutturate sul territorio, hanno saputo cogliere le esigenze ed i bisogni delle persone e hanno saputo costruire delle risposte.

Noi Psicologi, alle volte, mutuando altri modelli professionali, ad esempio quelli sanitari, abbiamo ricercato una nostra identità, un "corpus" scientifico e professionale che ci rafforzi e ci renda visibili e riconosciuti. Ciò è stato molto utile, abbiamo raggiunto ottimi risultati, ma ora non possiamo più solo permetterci la "privacy del setting" , dobbiamo uscire di più all"aperto", intervenire sul territorio, saper cogliere i cambiamenti, agirli e saper rispondere alle nuove ed imprevedibili esigenze delle persone.

Essere Imprenditori nella Psicologia significa sapersi presentare con qualità e rispetto deontologico, essere "consulenti" efficaci nel proporre servizi ed interventi mirati a vantaggio del benessere delle persone.
Non serve poi vendere un "purpuri" di Psicologia, magari miscelando approcci o altro. L'imprenditorialità è spesso specialità qualificata, nicchia emergente, assunzione di rischio, fatica ma anche appagamento.
La professionalità dello Psicologo passa anche attraverso la "cultura dell'imprenditorialità", quella vera, deontologica, qualificata e rispondente.


 


6. La cultura dei "numeri e degli aspetti fiscali"
Lo Psicologo non deve spaventarsi davanti ai numeri ed ai dati e considerali lontani dal suo modo di concepire l'intervento professionale. Oltremodo non può spaventarsi o far finta che non sia di sua competenza trattare gli aspetti fiscali, economici e finanziari della sua professione.

Lavoriamo con le persone, le aiutiamo a fare bilanci personali, spesso ci occupiamo di bilanci delle competenze. Avviciniamoci di più anche alla capacità di saper leggere un Bilancio economico e finanziario, facciamolo per noi e per la nostra professione. D'altro canto, anche gli Studi di Settore ci hanno abituati a questo e, per alcune parti significative, non possiamo permetterci di lasciare tutta la nostra importante parte economica e finanziaria in mano solamente ai nostri, seppur bravi commercialisti.

Dobbiamo essere noi i protagonisti attivi dei nostri Studi di Settore. Lavorare e cogliere i numeri ed i dati è fondamentale, aiuta e serve per riproporre e ricostruire. Lo Psicologo deve interessarsi di più agli aspetti fiscali della sua professione, deve saper fare le parcelle alla perfezione, deve saper predisporre un preventivo adeguato, deve saper proporre dei parametri tariffari, deve occuparsi degli aspetti previdenziali, dell'IVA e della non IVA sulle sue prestazioni, ecc..

Un buon Psicologo è anche un buon professionista nella "cultura dei numeri e degli aspetti fiscali" e tiene sotto controllo attivo la sua posizione professionale e sa presentarsi in modo qualificato e preciso rispetto a questi argomenti.


 


7. La cultura "multidisciplinare"
Dobbiamo imparare dagli altri e gli altri devono imparare da noi. Le conoscenze ed i contenuti della psicologia, e dei suoi ambiti applicativi, si sono fatte diffuse e flessibili, permeano tutti i campi professionali ed operativi e contribuiscono alla lettura e all'analisi dei fenomeni personali e collettivi.

Non è sempre più necessario sapere solo e tutto di Psicologia, l'esterno ci richiede plurime competenze e diventa indispensabile saper interpretare anche altri linguaggi per poter interagire e contribuire al cambiamento ed allo sviluppo. Essere Multidisciplinari significa essere aperti alla curiosità ed al nuovo, significa poter dialogare con gli altri, aprire le proprie "stanze" per una cultura diffusa, nuova, interdisciplinare.

"Nessun uomo è un'isola, che basta a se stessa" (John Donne, poeta inglese). Oggi, sempre di più, una forza ed energia, ci spingono verso gli altri, in scenari nuovi sperimentando le differenze per superare le barriere che ancora ci ostacolano. E' vincente una visione della società aperta, plurale e pluralistica, capace di intrecciare culture, approcci, diversità, linguaggi, esperienze tra loro diverse e, forse, non differenti. E per questo ci vuole "tolleranza".

Un buon Psicologo è anche un professionista multidisciplinare, aperto alla "cultura della multidisciplinarietà" e anche questo può essere uno degli strumenti sui quali ci si deve sempre rafforzare.


 


8. La cultura della "rete"
La rete unisce, raccoglie, pesca, annoda, produce. Lavorare con una cultura della rete significa aprirsi, andare in cerca, guardare al nuovo, a quello che ancora non si conosce.

Ogni persona vive una sua dimensione psicologica nella quale è capace di muoversi e di relazionarsi. Questa zona, che possiamo chiamare di Comfort, comprende i nostri valori, le competenze, le abitudini, le conoscenze ed i comportamenti agiti, nonché il nostro modo di essere generale. Vi è poi una Zona di Rischio, che comprende il nuovo, l'ignoto, il poco conosciuto; può essere sicuramente una dimensione psicologica che ci preoccupa e che può non farci sentire sempre a nostro agio. Solo passando attraverso la nostra zona di rischio possiamo però crescere e migliorare.

Per la persona, ma anche per le organizzazioni, il fatto di saper andare oltre, essere curiosi al nuovo, guardare con occhi nuovi, significa aprirsi e rappresentarsi con modalità innovative e più allargate. La cultura della rete permette questo e ci spinge a progetti futuri condivisi, comuni e ci stimola nella sperimentazione verso un cambiamento. D'altro canto la Psicologia di Comunità ci orienta in questa direzione, con approcci e strategie interdisciplinari e multidimensionali, come strumenti e risorse fondamentali per il lavoro di rete, dal singolo alle relazioni interpersonali, al sociale.

La professionalità dello Psicologo passa anche dalla "cultura della rete". Anche questo è uno degli strumenti sui quali orientare la propria professionalità.


 


9. La cultura del "bellessere"
Enzo Spaltro, noto psicologo del lavoro, ha introdotto il neologismo "Bellessere", ovvero la bellezza come speranza di un benessere futuro. Le relazioni sono il contesto nel quale il Bellessere trova maggiore fertilità in quanto una relazione è bella se ci ascolta ed è costruita attorno ad un progetto condiviso. Il Bellessere è trasversale a tutti gli aspetti della nostra vita, nel lavoro e nelle interazioni personali.
Anche Isabella Covili Faggioli, Presidente AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale) dell'Emilia Romagna e fondatrice della Fondazione Enzo Spaltro, sostiene che "vivere tendendo al bellessere vuol dire considerare il destino futuro come un progetto di vita, proprio e della comunità in cui si vive."

L'esperienza di Enzo Spaltro e dei suoi collaboratori nella ricerca del Bellessere è affascinante e stimolante. Riporto uno stralcio integrale tratto dalle premesse della Fondazione di Enzo Spaltro sul Bellessere: ...." il futuro del bellessere e della sua produzione sono sempre più basati sull'idea di perdono. Chi non sa perdonare, non sa imparare nè produrre molto.

La vendetta limita sensibilmente l'apprendimento, rendendolo mono-dimensionale. Il perdono invece allarga le vie dell'imparare e del produrre ricchezza e bellessere, permettendo maggiore espressione, creatività e benessere. Si può arrivare al perdono sia attraverso la bellezza e il futuro, che attraverso la cittadinanza e il passato. In ogni caso la base del perdono è costituita dal sentimento di onnipotenza e di assurdo che il soggetto vive. Perdonare sempre, ma dimenticare mai: questo è lo slogan per un soggetto del terzo millennio, cittadino della società del bellessere....


La bellezza può aiutarci come fonte di ispirazione soprattutto in un periodo di scarsità come l'attuale, può essere oggettiva e soggettiva, fuori e dentro di noi, richiede allenamento, fatica, energia ma nel contempo compensa con alte gratificazioni. Spaltro ci suggerisce anche dei percorsi di autoformazione pervasi di linguaggi interculturali (danza, musica, film, poesia, ecc.) e di interdisciplinarietà professionale perche la bellezza "può essere continuamente generata e inventata per dare senso al nostro essere ed al nostro agire". E poi indica un decalogo del Bellessere:

  1. è meglio stare bene che stare male;
  2. in compagnia si sta meglio che da soli;
  3. il malessere esiste e lo si scopre; il benessere non esiste e lo si inventa;
  4. è più complesso vivere nel benessere che nel malessere;
  5. ognuno vuole stare bene a modo suo, sono finite le feste comandate;
  6. le cose che piacciono si fanno meglio delle cose che non piacciono;
  7. di solito è più gradevole pensare al futuro che al passato;
  8. non c'è gruppo senza futuro e non c'è futuro senza gruppo;
  9. la bellezza (promessa di benessere) precede la bontà (valutazione di benessere);
  10. non si sta mai bene o male, ma solo meglio o peggio.

Gli Psicologi devono essere i protagonisti attivi della "cultura del Bellessere", anche questa cultura favorisce un aumento della propria professionalità.


 


10. La cultura della "formazione"
Gli Psicologi devono non solo essere e dimostrare di essere "più bravi" degli altri, in termini di competenze professionali ma devono saper raggiungere "l'eccellenza" nello svolgimento di tutte le attività e prestazioni erogate. Ciò significa formarsi ed aggiornarsi sempre, essere capaci di affrontare il cambiamento e l'innovazione, dotandosi di conoscenze e di strumenti qualificati ed eccellenti. Forse anche rivedere in modo nuovo il proprio apprendimento ed il proprio percorso di formazione e di professionalizzazione.

Gli Psicologi si formano e si aggiornano già molto e bene. Alcune recenti ricerche sulla figura e sulle prestazioni professionali dello Psicologo in Italia hanno dimostrato che gli Psicologi, in rapporto ad altre professioni liberali, sono quei professionisti che si formano di più. Se ciò è vero, come è vero, c'è la necessità di saper sfruttare meglio le nostre competenze professionali e la qualificata ed ampia formazione che svolgiamo. Questa forse è la vera sfida di oggi, saper creare vantaggi dalla formazione acquisita per valorizzare ancora meglio le possibilità e le opportunità professionali, puntando, come detto più sopra all'eccellenza.

Ci aspettano appuntamenti importanti in questo senso, basti pensare al modello Europsy ed alla certificazione europea delle competenze ed alle recenti disposizioni legislative che ci chiederanno un percorso di formazione continua permanente. Ma, come afferma Enzo Spaltro, "imparare deve essere un piacere e non un dovere", "ogni formazione è una formazione al benessere", "si impara dal gruppo, dalla bellezza, dal futuro. Non c'è futuro senza gruppo né gruppo senza futuro". Accettiamo queste sfide.
Gli Psicologi devono perseguire "la cultura della formazione". Anche questo è uno degli strumenti sui quali orientare la propria professionalità.

 

 


Riferimenti Bibliografici
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