I maestri del dolore. Ritratti di famiglie post-moderne nello studio dello psicologo scolastico Stampa
Giovedì 06 Gennaio 2011 18:04

maestri del doloreAutore: Franco Nanni
Editore: Pendragon
Pagine: 141
Prezzo: 15,00 Euro
Anno: 2010

 

Franco Nanni ci regala un libro chiaro e semplice, alla portata di tutti, ma piacevolmente intenso. Ci offre quello che sempre meno scritti, oggi, nella società del tutto e subito, dello stimolo-risposta, dei consigli per tutti ci sanno dare, cioè una modalità di pensiero, uno stimolo di riflessione.

Non pareri prêt-à-porter, buoni il più delle volte ad evitare di ragionare, di soffermarsi sull’origine del problema e della sofferenza.
Non a caso, infatti, questo scritto si intitola “I maestri del dolore” con un gioco di parole che ricomprende in sé diversi significati ma, forse, quello più evidente per chi legge il libro rimane la capacità di interpretare questo dolore, di volervi dare un senso, invece che fare finta che non esista, trovare la medicina che lo spazzi via, in quanto fastidioso.
Nanni ci ricorda che, per quanto difficile da tollerare, spesso esso è una sorta di alleato, di campanello di allarme e, contemporaneamente, di via maestra per un’evoluzione e una risoluzione, se solo vogliamo prenderci il tempo di guardarvi dentro. Se il dolore mentale viene vissuto come “un ospite inopportuno e imbarazzante”, “un reietto, un paria, un intoccabile” allora il compito dello psicologo deve essere – come ci ricorda l’Autore – quello di intercettarlo, ascoltarlo e rispettarlo, non certo ignorarlo, colludendo con le difese personali, ma ancor più con quelle culturali della “nostra civiltà del piacere e dello spettacolo” che “non sa più contattare il dolore, ma solo allontanarlo, rimuoverlo e nasconderlo, o viceversa ostentarlo, esporlo, sbatterlo sui teleschermi dei TG della sera”.

 

Naturalmente, questo lavoro è molto più complesso rispetto al dare soluzioni precostituite, etichette, esercizi, ma è fondamentale per dare un senso a quanto si sta vivendo, rimettendo in moto la macchina evolutiva.
In tutto il libro si avverte questa tendenza a non dare risposte limitanti, ma a prendere sempre in considerazione la complessità; certo, può apparire disorientante e fare arrabbiare coloro che cercano responsi precisi, ma questa opera serve per riflettere, per aprire porte, più che per chiuderne.
Non vi troverete, quindi, opinioni nette, ma più che altro un modo di guardare alle cose (che, in un certo senso, per chi ha la pazienza di accorgersene, è essa stessa una soluzione, solo più lunga, elaborata, psicologicamente dispendiosa, ma anche molto più stabile e profonda).

Vengono trattati diversi temi in questo scritto, ma vi si trova sempre, esplicitamente o implicitamente, il dolore come Leitmotiv, poiché ogni conquista ne richiede una parte, piccola o grande che sia. Anche l’apprendimento del bambino a scuola, pur nei suoi migliori aspetti, non può prescindere da esso. In un certo qual modo, potremmo dire che senza fatica non vi è conoscenza. Eppure, nel migliore dei casi, tale sofferenza è controbilanciata da un’innata tendenza all’esplorazione e alla curiosità che spinge in avanti, a meno che non ci sia qualcuno dedito a demolire il gusto della scoperta dei bambini, focalizzandosi principalmente sul risultato che deve essere conseguito, senza domandarsi cosa realmente motivi e guidi il suo comportamento. Se si trasforma la scuola in una lista di nozioni da apprendere meccanicamente e l’alunno in una sorta di macchina da programmare (chissà perché, mi viene alla mente un recente spot pubblicitario di un’automobile che recita: “senza cuore, saremmo solo macchine”), allora abbiamo perso la sfida più importante, di aiutare il bambino a crescere per quello che è, aiutarlo a sviluppare le potenzialità che, istintivamente, sarebbe portato a realizzare spinto dal motore della curiosità. Non senza il dolore e la fatica, naturalmente.
Allo stesso modo, se il ragazzino cresce senza un senso di futuro, se i genitori prima e gli insegnanti poi non sanno instillare nelle nuove generazioni l’idea (perché loro per primi non vi credono più) di un avvenire accessibile ed attraente, ricco non solo di delusioni, ma anche di possibilità, allora avremo perso la possibilità di dargli qualcosa in cui credere, una rotta da seguire e da tracciare, seguendo inclinazioni e desideri propri, da scoprire poco per volta.

In queste centoquaranta pagine, Nanni spazia con nonchalance fra citazioni musicali, letterarie, scientifiche, riflessioni personali, culturali, storiche, sociali e psicologiche, regalando innumerevoli spunti; sono tocchi di colore, non quadri completi, proprio perché lo scopo è aiutare a riflettere, non dare risposte precostituite. E come filo rosso, che emerge con continuità per tutto il libro, la teoria dell’attaccamento; forse non a caso, visto che è proprio un settore nato dalla combinazione di psicologia, psicoanalisi, biologia, etologia, cibernetica e scienza cognitiva e quindi ben rappresenta questa modalità integrativa fra diversi settori della cultura e della scienza che si ritrova anche in tale opera.

Questo è un libro per tutti: insegnanti, genitori, psicologi, educatori, ma anche per gli allievi, volendo. Perché “in linea di principio, le risposte non dovrebbero trovar posto in queste pagine, che si propongono più di raccontare che di spiegare”.
C’è forse un modo migliore per apprendere?